L'INAIL, con la circolare n.13/2020, ha fornito indicazioni sull'applicazione dell'art.42, comma 2, del D.L. n. 18/2020, che - com'è noto - hanno creato numerose preoccupazioni nel mondo imprenditoriale. Anche a seguito delle criticità rappresentate dalla Confcommercio, l'Istituto ha modificato il precedente orientamento.
L'Istituto rende noto, in particolare, che i criteri applicati per l’erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus sono totalmente diversi da quelli previsti in sede penale e civile, dove è sempre necessario dimostrare il dolo o la colpa per il mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza.
La tutela INAIL
La norma citata ha chiarito che l’infezione da SARS-Cov-2, come per tutte le infezioni da agenti biologici contratte in occasione di lavoro, è tutelata dall’Inail quale infortunio sul lavoro.
L'art.42 dispone che l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria (qualora il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa), con la conseguente astensione dal lavoro.
Il Legislatore ha escluso, inoltre, qualsiasi incidenza degli infortuni da COVID-19 (in occasione di lavoro) sulla misura del premio pagato dal datore di lavoro, in quanto tali eventi non sono direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro stesso al pari degli infortuni in itinere e, quindi, non comportano maggiori oneri per le imprese.
L’accertamento dell’infortunio da contagio da SARS-Cov-2
Dai principi adottati dall'INAIL sull’accertamento dell’infortunio nel caso delle malattie infettive e parassitarie, non può desumersi alcun automatismo ai fini dell’ammissione a tutela dei casi denunciati.
L'istituto deve sempre accertare la sussistenza dei fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto.
Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro”, che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.
Il riconoscimento del diritto alle prestazioni INAIL non può essere rilevante in sede penale, visto il principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero.
Neanche in sede civile l’ammissione a tutela assicurativa di un evento di contagio potrebbe rilevare per il riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, in quanto è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo.
La responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso del COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali (articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33). Il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non basta per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile negli ambienti di lavoro il rischio zero.
Regresso
L’attivazione dell’azione di regresso presuppone, come è noto, la configurabilità del reato perseguibile d’ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona del cui operato debba risponderne in base al codice civile.
La predetta attivazione da parte dell’Istituto non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da SarsCov-2.
Tale azione presuppone inoltre anche l’imputabilità, quantomeno per colpa, della condotta che ha causato il danno. In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida (articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33), sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.